Chiara Pirillo, la ricerca è la mia vita

Chiara Pirillo punta di diamante della ricerca americana a Stanford

“Faccio ricerca per dare ai bambini malati di cancro una possibilità concreta di guarigione”

di Pino Nano

Attualmente, presso la Stanford University, mi occupo di ricerca traslazionale nel campo della leucemia linfoblastica acuta pediatrica, con particolare attenzione alle forme più aggressive che colpiscono i bambini molto piccoli, al di sotto dell’anno di età. In particolare, il mio progetto si concentra sulla leucemia infantile con riarrangiamento del gene Kmt2A (Kmt2Ar), una forma che presenta una prognosi terribilmente sfavorevole, con una sopravvivenza a 5 anni inferiore al 40% ed un’elevata tendenza recidiva.  Questa malattia ha origine in epoca prenatale e si caratterizza per una forte plasticità, che consente alle cellule leucemiche di adattarsi ai trattamenti. In alcuni casi, queste cambiano identità, – un fenomeno noto come lineage switch – riuscendo così a eludere le terapie e a sviluppare resistenza. Il mio obiettivo è individuare le vulnerabilità di queste cellule, ossia quei punti deboli che possano essere sfruttati per rendere i nuovi farmaci più efficaci

Una ricercatrice dal profilo Internazionale.

La storia di Chiara Pirillo è bellissima. Viene da Crotone, o meglio: questa è una storia che inizia a Crotone 37 anni fa -perché questa è l’età anagrafica di Chiara- ma che finisce oggi nei più elitari laboratori americani di ricerca oncologica. Più precisamente, in California, la Silicon Walley, la città di Paolo Alto, alla Stanford University.

“Dopo il dottorato svolto tra l‘Imperial College London e il Francis Crick Institute, proseguire negli Stati Uniti è stato un passo quasi naturale. L’America, per chi fa ricerca -racconta a Giacinto Carvelli del Quotidiano del Sud-, rappresenta una tappa ambita, un luogo dove le idee possono crescere senza confini. Quando è arrivata l’offerta, dall’Università di San Francisco prima e da Stanford successivamente, ho sentito che si chiudeva un cerchio, come se un tassello importante del mio percorso trovasse finalmente il suo posto nel puzzle della mia vita. In California mi trovo molto bene: è un contesto estremamente dinamico, dove università, start-up e biotech sono profondamente intrecciate. C’è una costante propensione a investire in nuove idee e a trasformare la ricerca in innovazione concreta, capace di generare un impatto reale sul progresso scientifico e sul miglioramento della vita delle persone”.

Chiara Pirillo è oggi una ricercatrice post-dottorato in Ematologia-Oncologia presso la Stanford Medicine e ha alle spalle un curriculum professionale di altissimo profilo internazionale”.

La giovane scienziata crotonese ha conseguito il dottorato di ricerca in Ematologia presso l’Imperial College di Londra nel 2021, una laurea magistrale in Scienze Biomediche presso l’Università di Pisa nel 2020 e una laurea triennale in Biologia Molecolare sempre presso l’Università di Pisa nel 2016.

Oggi la ricerca che porta anche il suo nome include studi sulle “cellule T CD4+ di memoria specifiche del virus influenzale polmonare, sulla leucemia mieloide acuta (LMA) e sulle risposte delle cellule T contro infezioni e cancro”.

Il suo lavoro sull’infezione da virus influenzale A (IAV) indaga la formazione di cellule T CD4+ di memoria nel polmone per orientare la progettazione di vaccini. “Nel contesto della leucemia mieloide acuta (AML), la sua ricerca ha esplorato come l’inibizione delle metalloproteinasi possa ridurre la crescita della AML, prevenire la perdita di cellule staminali e migliorare l’efficacia della chemioterapia”.

Chiara Pirillo ha anche studiato come le nicchie vascolari del midollo osseo, che sostengono le cellule staminali emopoietiche, vengono rimodellate nella leucemia. Ma c’è ancora di più. Le sue ricerche hanno esaminato come “le cellule dendritiche convenzionali (cDC) dirigano le risposte delle cellule T contro infezioni e cancro, concentrandosi in particolare sul trasferimento dell’antigene e sui segnali contestuali tra cDC migranti e residenti nei linfonodi”.

Siamo insomma ai massimi livelli della ricerca oncologica, soprattutto quella pediatrica, e su cui gli Stati Uniti d’America hanno deciso di investire più di quanto non abbiamo forse fatto in passato con i tumori ordinari.

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Per tutto questo Chiara Pirillo ha ricevuto numerosi riconoscimenti e premi internazionali, tra cui un New Investigator Award dall’International Society for Experimental Hematology (2022), una borsa di studio Gordon Piller del Blood Cancer UK (2016-2020) e numerosi premi per i suoi abstract e poster dalla British Society of Immunology e dall’American Society of Hematology.

L’ultimo suo riconoscimento è di appena qualche giorno fa: il prestigiosissimo “Award American Society for Hematology insieme con l’European Society of Hematology, e questo le darà accesso ad un training di un anno con le menti più brillanti nel campo della ematologia mondiale, l’accesso ad una settimana di training intenso in Virginia, e due conferenze, l’EHA in Svezia e l’ASH l’anno prossimo in America. Siamo insomma ai massimi livelli della ricerca internazionale.

Ma forse tra i riconoscimenti ricevuti negli ultimi anni, uno che per lei ha avuto un particolare significato è quello ricevuto a Crotone, nel marzo del 2023, dalle mani del sindaco della città Enzo Voce, e che a nome dell’Amministrazione Comunale gli ha conferito la “Menzione Speciale della Città”, quasi una “Cittadinanza Onoraria per i meriti acquisiti nel mondo”.

“Conferiamo oggi -dice il sindaco della città di Crotone Enzo Voce- la menzione speciale ad una delle figlie migliori di questa città, che si è fatta conoscere ed apprezzare a livello internazionale e che sta dando un contributo scientifico importante in un settore particolarmente delicato come la cura e la lotta al cancro”.

Nemo profeta in patria, ma non sempre per fortuna è così.

Chiara Pirillo è oggi membro della British Society of Immunology (2020-oggi), dell’European Hematology Association (2024-oggi), dell’International Society for Experimental Hematology (2016-oggi) e dell‘American Society of Hematology (2019-oggi).

Storia di una eccellenza tutta italiana, prima ancora che calabrese, e che andrebbe raccontata ai ragazzi delle scuole per spiegare loro -così come Chiara Pirillo lo spiega a noi- che essere -e sentirsi- cittadini del mondo oggi favorisce moltissimo la crescita culturale e sociale dei popoli di tutto il mondo.

Chiara Pirillo riceve gli onori della città di Crotone dal sindaco Enzo Voce
Chiara Pirillo nel suo laboratorio di ricerca alla Stanford University

La mia vita, i miei ricordi, le mie certezze

di Pino Nano

Buongiorno dottoressa, in Italia sono le nove del mattino. Da lei che ore sono?

Quasi mezzanotte, ma non si preoccupi di questo.

Ho appena letto il suo curriculum, e scopro che in realtà lei non è calabrese?

In realtà sono nata a Pisa, dove entrambi i miei genitori hanno studiato e poi hanno iniziato a lavorare.

Quindi pisana a tutti gli effetti?

Assolutamente no. Pisana forse ma solo perché ci sono nata a Pisa. La verità è che quando avevo due anni ci siamo trasferiti a Crotone, la città della mia famiglia, dove in realtà sono cresciuta, circondata da mille affetti diversi e dalle mie radici.

-Mi racconta della sua famiglia?

Sono cresciuta con un esempio costante di dedizione, senso civico e amore, che ancora oggi guida il mio modo di vivere e di lavorare. Ho la fortuna di avere alle spalle una famiglia molto unita e forte.

Cosa fanno i suoi genitori?

Hanno sempre lavorato a tempo pieno: mia madre, Rosa Anna come medico, e mio padre, Giuseppe, come geologo e insegnante di scuola superiore. Mio padre fa parte di associazioni di volontariato e si è sempre impegnato anche sul fronte ambientale, occupandosi dei rischi legati all’inquinamento e ad altre criticità che purtroppo mettono a dura prova il nostro territorio, dove l’incidenza dei tumori è elevata.

È bello quello che mi dice…

Le dirò di più. Entrambi sono e sono sempre stati in prima linea quando si tratta, e si è trattato, di aiutare gli altri. Ma una parte importante della mia vita è anche mia sorella Marta, che ha nove anni meno di me.

Siete molto legate?

È il regalo più grande che i miei genitori potessero farmi: siamo cresciute insieme nonostante la differenza d’età, e il nostro rapporto è sempre stato fonte di sostegno reciproco. Sono cresciuta davvero con un esempio costante di dedizione in casa e che ancora oggi guida il mio modo di vivere e di lavorare.

E i nonni?

I miei nonni hanno avuto un ruolo fondamentale nella mia vita. Io ho avuto la fortuna di averli accanto fino a pochi anni fa, e per un periodo ho potuto godere anche della presenza dei miei bisnonni. Sono cresciuta circondata dal loro affetto, e il loro esempio continua ad accompagnarmi ogni giorno anche qui lontana da casa.

Nostalgia?

Mi mancano molto, ma sento ancora la forza dei valori che mi hanno trasmesso

Che rapporto aveva con loro?

Con i nonni ho sempre avuto un rapporto splendido. La professione di mia madre, che spesso lavorava anche di notte come medico, mi ha permesso di trascorrere con loro tantissimo tempo. Dal lato materno ero la prima nipote, e l’amore che ho ricevuto è stato davvero immenso. La loro famiglia è originaria di Pallagorio, e lì ho trascorso molte estati con i miei nonni, Teresa ed Aurelio ed i miei bisnonni, Peppe, Michela e Rosina: ricordo la libertà di correre tra le montagne e il profumo del camino che scaldava la casa, che allora non aveva il riscaldamento.

E i nonni paterni?

Anche dal lato paterno ho ricordi preziosi. La famiglia di mio padre è molto numerosa, sono in sette fratelli, e ho tanti cugini, ma i miei nonni, Gelsomina ed Emilio, sono sempre stati una presenza costante. Mio nonno paterno era una figura silenziosa, e il modo in cui mi guardava sempre con gli occhi pieni d’amore, è uno dei ricordi più vivi che porto con me. Con mia nonna passavo ore sul balcone, ad ascoltare i suoi racconti nelle giornate di sole. Sono ricordi che porto nel cuore e che hanno segnato profondamente la mia infanzia

Che infanzia è stata in realtà la sua in Calabria?

La mia infanzia in Calabria è stata una delle parti più belle della mia vita. Una infanzia piena di famiglia, fatta di tanta condivisione, e di una quotidianità semplice ma ricchissima. Noi siamo sempre stati una famiglia molto unita e, da bambina, le estati le trascorrevamo tutti insieme. Genitori, zii, cugini, tra giornate al mare, spesso pranzando direttamente in spiaggia, oppure in Sila, dove i miei nonni paterni affittavano una casa. Lì passavamo il tempo all’aria aperta, tra pranzi in compagnia e quei tipici picnic calabresi che, più che panini, prevedevano pasta al forno, pizze, frittele e peperoni e patate. Sono ricordi meravigliosi, che ancora oggi porto nel cuore e che continuano a definire il mio senso di appartenenza.

Ha qualche ricordo personale di quella stagione?

Di quegli anni ho tantissimi ricordi personali, molti dei quali portano ancora con sé il profumo dell’attesa e della gioia condivisa. Non dimenticherò mai la trepidazione delle sere d’estate, quando sapevo che l’indomani sarei partita con i miei nonni per trascorrere del tempo a Pallagorio. Erano giornate di giochi all’aperto, e indimenticabili le attenzioni dei miei nonni e dei miei bisnonni, e le lunghe passeggiate con mio nonno Aurelio sotto un cielo pieno di stelle, quel tipo di cielo che solo i luoghi lontani dalle luci dei centri abitati sanno ancora regalare.

Immagino che oggi, alla vigilia delle Feste di Natale e di fine d’anno, i ricordi dei suoi Natali in Calabria abbiamo un significato ancora più speciale?

Veri, reali e vividi quanto mai. Sono ricordi bellissimi, soprattutto il ricordo del Natale con la famiglia di mio padre. Il giorno della Vigilia era carico di emozione, sapendo che la sera ci saremmo ritrovati tutti insieme a casa dei miei nonni, ad aspettare la mezzanotte. Mia zia Tina preparava con cura una stanza dove, secondo tradizione, Babbo Natale avrebbe lasciato i regali. Prima di entrare, grandi e piccoli cantavamo tutti “Tu scendi dalle stelle”, e solo allora potevamo varcare la porta e trovare i doni. Mi creda, sono momenti che custodisco con grande affetto e che continuano a scaldare la mia mente e la mia vita.

Che scuole ha frequentato?

Tutta la mia formazione, fin dall’asilo, si è svolta a Crotone. Ho frequentato la scuola materna e poi la scuola elementare Ernesto Codignola, le scuole medie alla Vittorio Alfieri e infine il Liceo Scientifico Filolao, dove si è consolidato il mio interesse per le materie scientifiche

E delle scuole superiori, quali insegnanti vale la pena di ricordare?

Degli anni del liceo ho ricordi bellissimi e, in realtà, ogni insegnante ha lasciato qualcosa di importante. La professoressa Pirillo, che insegnava francese, è una persona con cui sono ancora in contatto e che rivedo sempre con piacere quando torno a Crotone. Il professor Arcuri, di inglese, rendeva le lezioni leggere e divertenti, mentre la professoressa D’Alfonso, di scienze, è stata la prima a trasmettermi l’amore per le materie scientifiche. Ognuno di loro, a modo suo, ha contribuito al mio percorso professionale che è seguito dopo.

Come nasce la sua scelta universitaria?

La mia scelta universitaria nasce da una curiosità che ho sempre avuto.

Cosa vuol dire?

Che fin da piccola mi chiedevo perché le malattie esistessero e come fosse possibile curarle, forse anche perché sono cresciuta vedendo mia madre svolgere il suo lavoro di medico con grande dedizione. Con il tempo questo interesse si è poi trasformato nel desiderio di capire i meccanismi più profondi alla base delle patologie, partendo proprio dalle loro componenti più elementari. Per questo ho deciso di studiare prima Biologia Molecolare alla triennale e poi Biologia applicata alla Biomedicina come specialistica.

Chiara Pirillo a casa sua in Calabria con la sua famiglia

Non posso non chiederglielo, ma quanto ha pesato il carisma della sua famiglia sulla sua vita?

Tanto, certamente. Ma l’influenza della mia famiglia sulla mia vita è stata profondamente positiva. Sono cresciuta circondata da persone forti, generose e molto unite, e il loro esempio quotidiano mi ha trasmesso valori che porto ancora oggi con me: quando le dico che la dedizione, il senso del dovere, l’importanza di aiutare gli altri e il valore delle relazioni familiari sono parte della mia cresciuta e della mia formazione le dico solo una piccola parte di quella che è stata la mia vita da ragazza in Calabria. Papà e mamma non mi hanno mai imposto una direzione, una scelta che non fosse mia, una soluzione che io non condividessi fino in fondo, ma mi hanno sempre dato il sostegno e la sicurezza necessari per seguire quello che io avevo scelto di fare e per percorrere insieme a me quella che poi sarebbe stata la mia strada. Molta della mia determinazione nasce proprio da questo.

Chiara, che prezzi si pagano secondo lei rinunciando a non vivere a casa propria?

Andare via dalla Calabria comporta certamente dei sacrifici enormi. Il primo prezzo è la distanza dagli affetti, la mia famiglia, i miei nonni, le tradizioni che hanno accompagnato la mia infanzia. Vivendo lontano si perde la semplicità di un pranzo insieme, si perde la magia delle domeniche in famiglia, delle piccole cose che rendono una casa davvero “casa”. E allo stesso tempo, lasciare la propria terra significa anche dover accettare una certa nostalgia latente.

Nostalgia per cosa soprattutto?

Per il mare, per la luce, per i tramonti, per un senso di comunità che altrove è più difficile ritrovare. Sono rinunce che si sentono, che ti pesano anche, ma che convivono in te con la consapevolezza che alla fine il mio percorso professionale richiede di guardare lontano. Ma porto sempre con me le radici che mi legano alla mia terra. Anche se sono partita a 19 anni, il legame che ho sempre avuto con la mia città non si è mai affievolito. E ogni volta che riesco a farlo, torno in Calabria con grande piacere.

Chiara Pirillo e suo marito Dino, ingegnere elettronico, italiano anche lui

In compenso a Stanford c’è anche suo marito?

Per fortuna sì. Lui e’ di un paese vicino Roma, Montalto di Castro, italianissimo! E’ ingegnere elettronico ed ha una mente brillante. Grazie alla dinamicità del suo lavoro siamo sempre riusciti a spostarci insieme in tutti questi anni, da quando ci siamo conosciuti all’università di Pisa nel 2008. Per lui qui e’ un posto meraviglioso, la silicon valley e’ all’origine di ogni innovazione tecnologica e lui ne e’ parte. Come dicevo, ci siamo sempre spostati insieme, incoraggiandoci e sostenendoci a vicenda in ogni scelta. Siamo uno la forza dell’altro e non avrei mai potuto chiedere niente di meglio.

Parliamo di ricerca. Qual è stato il suo primo incarico?

Più che un incarico formale, credo che il mio primo vero passo nel mondo della ricerca sia stato durante la magistrale, grazie al programma Erasmus. Ho avuto l’opportunità di trascorrere un anno in un laboratorio del King’s College London, lavorando su neuroblastoma e cellule staminali neuronali. È stata la mia prima esperienza in un ambiente internazionale e ha avuto un ruolo decisivo.

Perché?

Perchè lì ho capito fino in fondo quanto mi appassionasse il percorso che avevo scelto, e quanto desiderassi continuare nella ricerca scientifica.

La sua prima esperienza importante?

La mia prima esperienza davvero importante è stato il colloquio per il dottorato all’Imperial College di Londra, che ho sostenuto mentre ero ancora al King’s College per il mio periodo di tesi all’estero.

Immagino un giorno importante per lei?

Ricordo perfettamente quel giorno. Ero circondata da candidati provenienti da università prestigiose, tutti molto sicuri di sé, mentre io cercavo ancora di realizzare come fossi arrivata fin lì. Ho ottenuto la posizione prima ancora di laurearmi a Pisa, e quel momento mi ha segnato profondamente. Soprattutto mi ha fatto capire che il merito, la preparazione e la passione possono davvero aprire porte che sembrano altrimenti lontane.

Qual è la ricerca o l’obiettivo a cui lei oggi è più legata?

Vede, ogni progetto a cui io ho lavorato è parte integrante del mio percorso e parte di me.

Mi parli allora del suo lavoro…

Io mi dedico ai tumori del sangue sin dal dottorato. Ho iniziato studiando la leucemia mieloide acuta e oggi mi occupo di leucemia linfoblastica infantile.

Un settore molto complesso e complicato, posso dirlo?

Diciamo che è un ambito a cui io tengo profondamente, anche perché è qualcosa che mi tocca da vicino.

In che senso dottoressa?

Lavorare per migliorare le terapie di bambini così piccoli, sotto l’anno di vita, con tassi di mortalità ancora troppo alti è ciò che mi dà ancora una motivazione fortissima. Metto in questo lavoro tutta la mia dedizione, con la speranza di contribuire allo sviluppo di cure più efficaci e più sicure.

Torniamo per un attimo alla sua vita privata. Un giorno lei parte da Crotone e va in giro per il mondo, che esperienza è stata?

Sono partita dall’Italia a 25 anni e da allora il mondo è diventato davvero casa. Ho vissuto dieci anni nel Regno Unito, prima a Londra e poi a Glasgow, ed ora vivo negli Stati Uniti.

Praticamente apolide?

Per la verità mi sono sempre sentita un po’ “cittadina del mondo”, con la valigia in mano e la curiosità di affrontare nuove sfide. Certo, partire è stato allo stesso tempo bellissimo e spaventoso, ma vivere all’estero mi ha arricchita profondamente.

Mi dia un solo motivo per cui credere che partire sia stato fondamentale…

Una delle cose più belle del fare ricerca è proprio la natura internazionale di questo lavoro. La comunità scientifica è estremamente connessa, e ti permette di incontrare persone, idee e prospettive che ti cambiano il modo di vedere il mondo e il tuo stesso percorso di vita personale. Così è stato con me.

Chiara posso chiederle chi l’ha aiutata a crescere, e in quale laboratorio?

Nel mio percorso ho avuto la fortuna di incontrare mentori che mi hanno aiutata a crescere e che hanno modellato il mio modo di fare ricerca. La prima è stata la Dr Rita Sousa Nunes, che mi ha accolto nel suo laboratorio al King’s College per la tesi della magistrale.

Da donna a donna?

È stata la prima a credere davvero in me e a darmi l’opportunità di scoprire cosa significhi fare ricerca ogni giorno. Grazie a lei ho capito che questo lavoro mi apparteneva e che avevo le capacità per farlo. Dopo quasi dieci anni, è ancora una delle mie più grandi sostenitrici. Un ruolo altrettanto importante l’ha avuto, durante il mio dottorato all’Imperial College, il mio mentore, la professoressa Cristina Lo Celso.

Un’atra donna ancora?

Cristina Lo Celso è sempre stata una presenza positiva nella mia vita, e la sua positività è contagiosa. C’è una cosa che non sempre si coglie e si percepisce, e cioè che la positività del tuo team di ricerca diventa a volte fondamentale, perché la ricerca è un percorso difficile e ci sono giorni complessi in cui credere in ciò che si fa diventa però essenziale.

Come dire? Mai soli?

Certo, avere qualcuno accanto che trasmette ottimismo fa davvero la differenza. Ho avuto la fortuna- e continuo ad averla-di lavorare con mentori straordinari e menti brillanti che hanno arricchito il mio percorso, umano e scientifico, e che rappresentano tutt’ora un punto di riferimento fondamentale

Chiara, le è mai capitato in giro per l’Italia di “vergognarsi” di essere figlia della Calabria?

No, non mi sono mai vergognata di essere calabrese. La Calabria fa parte della mia identità e delle mie radici, e ne sono profondamente orgogliosa. La mia esperienza, anzi, è stata sempre quella di portare con me il valore della mia terra, la forza della comunità, la capacità di affrontare le difficoltà, l’importanza delle relazioni umane. La Calabria mi ha dato molto, e non ho mai smesso di considerarla un punto di partenza prezioso del mio percorso.

Che consiglio lei darebbe ad una giovane ricercatrice che oggi volesse intraprendere la sua carriera?

Le suggerirei prima di tutto di essere curiosa. Di essere soprattutto coraggiosa, e di non avere paura di sognare in grande.

Capacità di visione, insomma?

Non so come spiegarglielo, ma la ricerca richiede determinazione. E soprattutto richiede fiducia in sé stessi. Anche quando il cammino sembra incerto. Ma è proprio lì che si costruisce la forza per andare avanti.

Immagino che la ricerca comporti anche sorprese positive e non sempre previste?

Io ho capito che non serve avere tutto pianificato. E soprattutto, ho imparato che lasciare spazio alle opportunità e uscire dalla propria comfort-zone apre porte che non si immaginano neppure. Ed è proprio nei passi più audaci che si cresce di più.

Tanta determinazione anche?

Direi di non accontentarsi mai. Di cercare sempre il meglio per sé e per il proprio lavoro. E di ricordare che la scienza è una comunità straordinaria, dove incontrerai persone sempre diverse, ma con esperienze e visioni uniche, che arricchiranno il tuo viaggio e ti insegneranno a guardare il mondo con occhi nuovi.

Se le chiedessi uno slogan che riassuma tutto questo?

Direi che il mio consiglio è questo: credici davvero. Perché quando ci si mette passione, impegno e cuore, il percorso, per quanto impegnativo, può diventare straordinario

Chiara, mi scusi se la chiamo per nome, ma qual è stata la vera arma del suo successo?

La mia vera arma è sempre stata il sostegno delle persone che amo. La mia famiglia e mio marito Dino mi hanno accompagnata in ogni scelta senza mai impormi limiti, credendo in me anche quando io stessa faticavo a farlo. Hanno celebrato i miei successi, mi hanno sostenuta nei momenti difficili e mi hanno ricordato, ogni giorno, perché valeva la pena di continuare. Accanto a questo, credo che un ruolo importante lo abbia avuto la mia dedizione. Quando lavoro in laboratorio per me il tempo sembra fermarsi: posso passarci ore senza accorgermene, perché ho sempre lo sguardo rivolto a ciò che potremmo raggiungere.

Affascinante dottoressa quello che mi dice…

Sa qual è la verità assoluta del mio lavoro e del mio mondo? Vedere il “quadro generale” mi aiuta a superare ogni limite, e a non perdere mai di vista il motivo per cui io faccio ricerca. È l’unione di queste due forze- l’amore che mi sostiene e la passione che mi guida – ad aver reso possibile tutto il mio percorso.

Che futuro immagina lei oggi per la sua vita accademica?

Spero in un futuro in cui io possa continuare a fare ciò che amo che vuol dire studiare, scoprire e contribuire a migliorare le terapie per i bambini affetti da leucemie ad alto rischio. Il mio obiettivo è costruire un percorso accademico solido, che mi permetta un giorno di guidare un mio gruppo di ricerca e formare giovani scienziati, così come i miei mentori hanno fatto con me.

L’ultimo traguardo di cui si sente più fiera?

Un passo molto importante in questa direzione è il programma ASH-EHA TRTH, un percorso di formazione prestigioso e altamente competitivo organizzato dalla Società Americana e dalla Società Europea di Ematologia, che ho avuto l’onore di ottenere quest’anno.

Di cosa parliamo più esattamente?

Di una opportunità straordinaria, perché mi permetterà di lavorare a stretto contatto con leader internazionali del settore e di consolidare le basi per la mia futura indipendenza scientifica.

Chiara, questo significa che la Calabria sarà sempre più lontana dalla sua vita…

Non so ancora dove mi porterà questo cammino, ma so che voglio continuare a crescere, a collaborare a livello internazionale e a portare avanti la mia ricerca con la stessa passione che mi accompagna da sempre. La certezza che oggi mi accompagna è che se riuscirò a fare anche una piccola differenza nella vita dei miei pazienti, allora avrò raggiunto il traguardo più importante della mia vita.

Lo Stanford Cancer Center

Ogni qualvolta scrivo una storia come questa, con il protagonista, o la protagonista della storia, che lavora all’estero, lontano dalla Calabria migliaia e migliaia di chilometri, mi chiedo sempre “Ma dove lavora?”, “Qual è il luogo fisico dove questa giovane ricercatrice crotonese come Chiara Pirillo fa ricerca?”.

E allora cerco di scoprirlo aiutandomi con Internet -e da qualche tempo a questa parte anche- con l’aiuto dell’Intelligenza Artificiale. E a volte trovo tutte le risposte che mi servono per capire meglio l’ambiente in cui nasce la mia storia.

Così è per il Lockey stem cell building, dipartimento di Pediatria, medicina rigenerativa e cellule staminali dell’Università di Standford e che nei fatti è la nuova casa di Chiara Pirillo.

“Al lockey stem cell building, che fa parte del dipartimento di pediatria e medicina dell’Universita di Stanford, non ci sono pazienti ma si fa solo ricerca. L’ospedale invece, con cui siamo assolutamente intrecciati, è a soli cinque minuti da qui”.

In Ospedale, invece, nei corridoi luminosi e nelle sale visita -precisa il sito ufficiale della Facoltà di Medicina- i pazienti e le loro famiglie trovano un ambiente positivo e rigenerante.

“Il design degli interni dell’edificio è ricco di colori e dettagli e include opere d’arte appositamente selezionate. Fontane e giardini interni offrono un ambiente sereno dove pazienti e famiglie possono riunirsi. Il nuovo edificio soddisfa la crescente domanda di servizi ambulatoriali, offrendo ai pazienti opzioni di cura più semplici e meno invasive”.

La maggior parte dei servizi oncologici di Stanford è concentrata in questo edificio, promuovendo un approccio di squadra e consentendo ai pazienti di rimanere in un’unica sede per procedure ed esami. L’edificio riunisce membri del rinomato corpo docente clinico di Stanford, un’interazione professionale fondamentale per la ricerca di nuove conoscenze mediche e per la progettazione di piani di trattamento ben coordinati. Lo sviluppo di attrezzature e tecnologie migliorate consente di ottenere le terapie oncologiche più avanzate e di accelerare il trasferimento delle scoperte della ricerca alla clinica, dove possono essere rese disponibili ai pazienti attraverso sperimentazioni cliniche.

La struttura ospita un centro di radioterapia, un’unità di mammografia e radiologia diagnostica, cliniche oncologiche multimodali, un’unità di trattamento, un centro di formazione, servizi sociali, servizi nutrizionali, un registro tumori, una farmacia, un centro di ricerca accademica e clinica, un centro congressi e altre componenti di un centro oncologico completo. I centri dedicati alla cura del cancro occupano circa il 60% della struttura, ovvero due piani e mezzo. Il resto della struttura è dedicato ai servizi di assistenza ambulatoriale.

Per non parlare della Stanford University che oggi è una delle università private più esclusive e più famose degli Stati Uniti d’America.

Siamo in California, nella contea di Santa Clara, a circa sessanta chilometri a sud di San Francisco, e a due passi dalla città di Palo Alto, che è poi il cuore vero della Silicon Valley. Mai come in questo caso modernità, innovazione tecnologia avanzata e intelligenza artificiale sono le colonne portanti di questo Campus universitario che da almeno un secolo il mondo intero invidia agli americani.

Il Campus venne infatti costruito alla fine del 1800 da Jane e Leland Stanford, lui un imprenditore ferroviario che aveva accumulato un patrimonio immenso, in memoria del loro figlio, morto di tifo a Firenze, con l’obbiettivo di dar vita ad un Campus universitario che aiutasse i giovani californiani a diventare i numeri uno nel mondo della ricerca e delle scienze. Cosa che poi accadde davvero.

I numeri ufficiali della Stanford University oggi sono un vanto per la grande comunità accademica americana, e sono numeri che parlano da soli: 6.699 le invenzioni create dalla ricerca di Stanford finanziata a livello federale; 3.029 i brevetti statunitensi basati sulla ricerca; oltre 400 le Start-up fondate sulla base della ricerca tra i laboratori di Stanford; oltre 350.000 i posti di lavoro creati da aziende nate grazie alla ricerca di Stanford; 94 miliardi di dollari gli investimenti privati in start-up nate dalla ricerca del Campus; ma è di oltre 11 trilioni di dollari il valore di mercato delle prime 30 aziende fondate da ex studenti di Stanford. E da qui sono passati 58 premi Nobel, 33 MacArthur Fellows, 29 vincitori del premio Turing, 7 vincitori del Wolf Foundation Prize, 2 giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti, 4 vincitori del Premio Pulitzer, decine dimembri del Congresso degli Stati Uniti, e ben 94 miliardari americani tra i più ricchi del mondo. Quanto basta, insomma, per percepire quanto immenso sia oggi il peso carismatico che il Campus californiano ha oggi in tutto il resto del mondo.

Ecco, è qui, in questo contesto internazionale che Chiara Pirillo vive oggi, e fa ricerca ad altissimo livello, e da cui -è triste dirlo ma così sarà- la sua terra di origine, e la sua Crotone, e il suo mare, e i suoi colori, saranno sempre più lontani. (Pino Nano)

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