Il grande cuore di Rino Gattuso

“Uno di noi”, il nuovo apostolo della Nazionale di Calcio

di Pino Nano

“Se nasci quadrato, mica puoi morire tondo, e io sono nato settimino: mi aspettavano per marzo e invece sono sbucato fuori il 9 gennaio del 1978, con la mia matassa di riccioletti neri in testa, pronto a sfidare il mondo. Probabilmente ho il gene dell’impazienza e quella fretta di uscire dalla pancia di mia madre Costanza per mettermi a sgambettare era la mia prima dimostrazione di carattere: un tipo che odia aspettare, impulsivo, adrenalinico. Proprio come sarei poi stato sul campo…Penso in calabrese, gioco in calabrese e sogno in calabrese”.

Umiltà, tenacia, carisma, coraggio e altruismo. Orgoglio tutto italiano. Rino Gattuso è oggi l’immagine fiera e possente di un ragazzo calabrese che dal nulla è diventato protagonista della scena mondiale.

La sua, più che una storia di successo, è una fiaba, da raccontare ai bambini, che ha scritto lui stesso, in prima persona, per un libro che nel 2007 è andato a ruba, edito dalla Rizzoli, e che oggi non è più in commercio. Il titolo era “Se uno nasce quadrato non muore tondo”.

In questo libro Rino Gattuso si racconta con autoironia: l’infanzia calabrese e poi la carriera calcistica, dall’esordio nel Perugia al campionato scozzese, dai trionfi nel Milan all’avventura dei Mondiali. E parla di sé descrivendo gli alti e bassi della notorietà, l’impegno per i ragazzi più sfortunati, le ricette per superare le sconfitte e le pagelle di colleghi e rivali. In campo e fuori. E ci sono dei passaggi di questo libro che varrebbe la pena di ripubblicare per intero tanta forza emotiva c’è dentro queste pagine.

“Sono il primo maschio della mia famiglia, orgoglio e gioia di papà Franco e nonno Gennarino, dal quale prendo in prestito il nome. All’anagrafe sono Gennaro Ivan Gattuso, ma per tutti semplicemente Rino. Rino da Schiavonea di Corigliano Calabro. La mamma della Magna Grecia, come dice mio padre! Un pugno di case sul mar Jonio, ma che ne hanno viste di tutti i colori: bizantini, normanni, arabi ma anche, e per me è la cosa più importante, pescatori e ragazzini, mare e sole. Il mio paradiso personale. Passo sempre qui le mie ferie, dopo mesi di viaggi internazionali e intercontinentali, di sballottamenti su aerei e treni e pullman, chi ha voglia di farle quelle vacanze che sei esausto ancora prima di partire?

La sua è la storia commovente, malinconica e straordinaria, di un ragazzo di provincia, poverissimo, che incomincia a giocare a pallone nei quartieri degradati della sua città natale, Schiavonea, cuore della Sibaritide, Calabria Jonica, e che diventa ancora giovanissimo un’icona del calcio italiano, e poi di quello internazionale.

Rino Gattuso oggi -lo è per tutto il mondo- è un manifesto della forza fisica. E’ un atleta che ha sfondato dappertutto, e che ha ottenuto il massimo successo con il minimo sforzo, frutto di una educazione spartana e di un senso del rispetto, del dovere, e della riconoscenza che è solo tutta ancora meridionale.

Il calcio inteso come religione di vita, lo sport come esaltazione dello spirito e della mente, ma basta stargli accanto qualche ora per capire quanto cuore batta realmente nel suo corpo, e quanto lui insegua dall’inizio fino alla fine la voce del cuore.

Uomo del Sud, dalla testa ai piedi, figlio di una terra ingrata e amara con i suoi figli migliori, una terra che trent’anni fa non poteva assicurare nulla di buono a nessuno, eppure lui è cresciuto lo stesso, in fretta, da solo, e dopo mille sacrifici ha preso finalmente il volo. Oggi lui è figlio del mondo.

E’ mio padre che mi ha infettato con la passione per il calcio: sembra ieri che infilavo la testa nella sua borsa d’allenamento, che odorava di quel profumo buono di olio canforato che oggi non si sente più. E intanto fantasticavo sul mio futuro, sognavo che anch’io un giorno sarei diventato forte come lui, mentre mi immaginavo a scorrazzare per San Siro con indosso la maglia del mio Milan. Già, perché tutta la mia famiglia e sempre stata fedele ai colori rossoneri che ho assorbiti prima come anticorpi, con il latte materno, e poi ascoltando mio padre parlare di calcio: mi piaceva starlo a sentire, tanto che ancora oggi mi diverto a chiedergli notizie sui giocatori del passato. Da piccino mi facevo raccontare le prime finali del Milan in Coppa dei Campioni, che lui aveva sentito alla radio dalla voce di Niccolò Carosio. Mi sono rifatto nel 1990, con il Milan di Guilt e Van Basten che guardavo in tv”.

Per lunghissimi anni i grandi giornali lo hanno raccontato come una star, o forse ancora di più come il nostro nuovo Maradona. In realtà Rino Gattuso è un calciatore che sul campo è una macchina da guerra, un gladiatore che non concede sconti a nessuno, neanche a sé stesso, e che per 90 minuti primi non fa che stare dietro alla palla. Quasi un “marines” del mondo del calcio.

C’è una bellissima canzone di Luciano Ligabue che sembra scritta apposta per lui. Dice: “Una vita da mediano/ a recuperar palloni/ nato senza i piedi buoni/ lavorare sui polmoni/ una vita da mediano/ con dei compiti precisi/ a coprire certe zone/ a giocare generosi/ lì/ sempre lì/ lì nel mezzo/ finché ce n’hai stai lì/ una vita da mediano/ da chi segna sempre poco/ che il pallone devi darlo/a chi finalizza il gioco”.

Pino Nano insieme a Rino Gattuso per uno speciale RAI

Io non so molto di sport, anzi non so quasi nulla e me ne vergogno anche, e quindi non posso giudicarlo sotto il profilo sportivo, ma conosco il personaggio per averlo incontrato diverse volte, l’ultima volta nella sua casa al mare tra Corigliano Scalo e Schiavonea, e ne ho colto un animo di grande sensibilità e di grande passione civile.

Affabile, appassionato, avvolgente, cortese, educatissimo, attentissimo alla forma, Rino Gattuso è uno di quelli che ti dà la precedenza anche quando entra in casa sua, e potrebbe anche non farlo. Ma l’uomo mi ha colpito così tanto, e mi ha coinvolto così tanto positivamente, da volergli chiedere quel giorno alla fine della mia intervista una foto ricordo che oggi conservo come una delle foto più emblematiche della mia storia di cronista. Indegnamente, lo riconosco, ma anche religiosamente.

Quello che quel pomeriggio nella sua casa di Schiavonea ho davvero capito è che con la Calabria Rino Gattuso ha un legame ancora quasi ancestrale. Un invisibile cordone ombelicale lo ha sempre tenuto legato a questo pezzo di spiaggia bianchissima e a questo mare che è ancora tra i mari più puliti e più blu del Mediterraneo, ma soprattutto suo padre.

A dire la verità –ricorda Rino nel suo libro– in casa mia il calcio è sempre stato come il pesce: non è mai mancato, per colpa e merito di mio padre, milanista senza se e senza ma, tifoso sfegatato di Gianni Rivera – uno con due pennelli al posto dei piedi. Per tutti papà era un falegname, ma nell’anima era un calciatore, e non certo un appassionato da salotto, di quelli tutti divano e televisione: era arrivato pure a giocare nella quarta divisione calabrese come centravanti di svariate formazioni della zona, ed e stato il mio primo maestro. Ricordo che un anno giocava nelle file del Corigliano, rivale per eccellenza dello Schiavonea, la squadra per cui tifava mio nonno. Quando arrivò il giorno del derby, nonno si posiziona dietro alla porta e per tutta la partita non fece altro che insultare suo figlio, reo di giocare contro la squadra del suo paese: ”Carne venduta” gli urlava, e poi si rivolgeva all’arbitro sbraitando: “Signor camicia nera, cacci fuori questa carne venduta”. Quante ne ha dovute subire papà, lui che giocava da attaccante (una volta segnò addirittura 14 gol in una partita) ma era grintoso come il più arcigno dei terzini”.

Quel giorno a Schiavona, sotto gli alberi che circondano la sua casa, e che separano il campetto di calcio dei Gattuso dal portone di ingresso, ho scoperto e incontrato un uomo che considera i suoi amici di infanzia parte del suo corpo, carne della sua carne, aria da respirare a pieni polmoni, e che ha dedicato tutta la sua vita al futuro della sua gente e al ricordo ossessivo dei colori del suo mare.

Dovunque egli sia in giro per il mondo, Rino Gattuso non fa che ricordare le sue origini, che rimarcare la bellezza della sua terra, Rossano-Corigliano-Schiavonea- quasi fossero un marchio di fabbrica per lui, una medaglia d’oro da esporre prima di tutte le altre conquistate sui campi di calcio che lo hanno visto re e protagonista insieme. Monarca assoluto del gioco, e stratega come pochi delle dinamiche calcistiche in voga in questi anni, e con nel cuore un sogno irrealizzato, che era quello di diventare da grande un pescatore.

“Io da grande volevo fare il pescatore. Se c’e una cosa che mi manca quasi fisicamente nella vita che faccio oggi, è il mare, la mia seconda casa. Perchè il mare è come me, non sta ad aspettare nessuno, non sa star fermo. E perchè è magico, cambia mille volte al giorno, con la luce, con le nuvole. Cambia anche di notte… Ovviamente conoscevo tutti i pescatori del porto, quei grandi marpioni del mare che noi ragazzini guardavamo con ammirazione e una sorta di deferenza. Per tutti noi erano degli idoli: penso al mitico Nardo di Peppe, alla dinastia dei Curatolo e a quella dei Martillotto, tutta gente nata per il mare, e che del mare conosceva anche i segreti più reconditi. Anch’io volevo diventare come lore: così, quando verso sera le barche tornavano al porto, mi intrufolavo tra gli scaricatori e li aiutavo a svuotare le casse piene di pesce. E poi da ogni secchio mi davano qualcosa, e per fine serata riuscivo a racimolare un gruzzolo di pesci e molluschi che poi andavo a rivendere in piazzetta. Quello e stato il mio primo lavoro: pescivendolo a domicilio”.

Ringhio era già Ringhio da piccolo, e su questo non si discute.

“Gattuso continua ad andare al mare a Schiavonea -scriveva qualche giorno un puntualissimo Paride Leporace sulle pagine di Corriere Calabria– e non posa ad Ibiza per i rotocalchi anche se ha casa a Marbella. Chi lo conosce bene racconta che se trova le luci aperte in casa le spegne perché gli sprechi non gli appartengono…Io ho visto lui in campo sempre come una reincarnazione postmoderna di Romeo Benetti. Niente veline da copertina nella sua vita privata, solo l’amore per la moglie Monica, napoletana figlia di un ristoratore italiano di Glasgow, una presenza fondamentale della sua vita. Una vita da mediano pure in strada. A giocare a pallone nel Quadrato Compagna di Schiavonea e a scaricare cassette di pesce che si rivendeva al mercato. Un ragazzino che avrebbe fatto volentieri anche il pescatore con quelle ciurme del suo paese che ancora ti raccontano, come in Moby Dick, dei loro amici morti a largo inghiottiti dalla tempesta per portare soldi in famiglia”.

“Una vita da mediano -canta invece Luciano Ligabue- da uno che si brucia presto/ perché quando hai dato troppo/ devi andare e fare posto/una vita da mediano/ lavorando come Oriali/anni di fatica e botte e/vinci casomai i mondiali/lì sempre lì/lì nel mezzo/finché ce n’hai stai lì/stai lì/sempre lì/lì nel mezzo/finché ce n’hai/finché ce n’hai/stai lì …”.

Un metro e settantasette di altezza, 77 chili di peso forma, un calcio destro da uragano. Oggi lui, a 47 anni, li ha compiuti il 9 gennaio scorso, è il nuovo commissario tecnico della nazionale Italiana, chiamato alla guida della nostra Nazionale con una mission ben recisa, quella di portare l’Italia al Mondiale 2026, dopo le mancate partecipazioni a Russia 2018 e Qatar 2022.

Nessuno sa ancora cosa accadrà sotto la sua guida, ma tutti sanno che non si poteva scegliere uomo migliore di lui.

Invitato da Maria De Filippi a “C’è posta per te” -è il marzo del 2019- non fa che ripetere quello che poi è da sempre il suo mantra preferito: “Nella vita bisogna crederci, è ingiusta tantissime volte, ma bisogna avere passione e coerenza. Bisogna andare avanti e credere fortemente in quello che si fa, sembrano frasi fatte, ma è la verità. Anch’io ho tantissimi ricordi dell’infanzia. Ho lasciato casa che avevo 13 anni per giocare a calcio, ricordo mio padre che costruiva le barche e quel ricordo è incredibile. Provare a ricordare vostro padre -dice Ringhio ai ragazzi ospiti della puntata- per quello che faceva è importante, perché i ricordi e le origini sono importantissimi”.

Una mattina invece, e siamo alla fine del 2020, si presenta in tv con un occhio bendato ed è il primo a spiegare al mondo del calcio che lo guarda con immensa apprensione cosa gli stesse succedendo: “Soffro di una malattia autoimmune, la miastenia. È da un mese che girano voci che io posso morire, ma tranquilli, non muoio. Vedere doppio è una grossa difficoltà e da un mese non sono me stesso…Voglio dirlo a tutti i ragazzi che hanno paura quando hanno un qualcosa di strano e non si vedono bene allo specchio: la vita è bella e bisogna affrontarla senza paura, senza nascondersi”. Si trattava di una malattia cronica autoimmune che colpisce generalmente i muscoli degli occhi e delle palpebre, che ne escono sensibilmente indeboliti”. Ma L’uomo è un “duro” nella sua accezione più generale del termine, e supera anche questa fase di grande difficoltà personale e professionale.

Ma vi ho appena detto che la sua generosità non conosce confini.

Nel 2003 fa nascere la fondazione ‘Forza Ragazzi’ per dare un aiuto agli adolescenti meno fortunati della Calabria. A Gallarate invece avvia un’attività nel campo della ristorazione, aprendo una pescheria-ristorante, altra sua grande passione, e che diventa meta di pellegrinaggio di amici tifosi di ogni genere, ma soprattutto Mecca dei calabresi di Corigliano-Rossano.

Ma ancora, Dicembre 2006.Una nota ufficiale della famiglia Gattuso annuncia l’apertura in Calabria, a Corigliano, di una azienda di molluschi, si chiamerà “Gattuso&Catapano”, destinata all’allevamento dei molluschi e alla depurazione delle acque attorno al vivaio.

L’intenzione di Rino Gattuso-precisa la nota diffusa quel giorno alle agenzie di stampa- non è quella di alimentare i propri profitti diversificando le proprie attività, piuttosto quella di investire sulla gente di Calabria, dando una opportunità ai concittadini più giovani e disoccupati, e non si tratta di una novità per il calciatore, che da anni già sostiene la Fondazione onlus Forza Ragazzi.

“Era diverso tempo che, con la mia famiglia – sottolinea Ringhio in quella occasione – stavamo valutando la possibilità di mettere su un insediamento produttivo, un’attività industriale che in maniera concreta contribuisse a dare sollievo alla disoccupazione che rappresenta un problema atavico per Corigliano e per tutto il comprensorio. Con la Fondazione abbiamo ottenuto risultati di grande rilievo aiutando le persone disagiate. Adesso a questo insostituibile strumento di solidarietà, abbiamo deciso di affiancare un’attività commerciale che dia lavoro così da stimolare il tessuto economico del comprensorio”.

Fiumi di parole e di aggettivi rimbalzano in queste re sulla rete come un fiume in piena.

 “Un combattente, Rino -scrive Dario Ceccarelli su Il Sole 24Ore- che con la sua grinta e il suo vulcanico attaccamento alla maglia, ha sopperito a una tecnica non proprio sopraffina. Il suo slancio, la sua determinazione, sono sempre stati un propellente micidiale. Adesso lo si può definire “un motivatore”, qualche anno fa era un diavolo scatenato che trascinava alla mèta anche i più riottosi. L’esordio del 5 settembre a Bergamo contro l’Estonia è ancora lontano, ma il nuovo allenatore azzurro sa che dopo il disastro con la Norvegia altre cadute non sono concesse”.

Per i grandi giornali italiani ed europei Rino Gattuso rimane ancora oggi una stella polare del mondo del calcio mondiale.

“Poteva volare in Brasile Gattuso- scrive l’ANSA di qualche giorno fa- all’Hajduk Spalato sua ultima panchina aveva ricevuto la chiamata del Corinthians con una offerta da 5 milioni a stagione, ma ha detto sì alla Nazionale accettando il contratto di un anno e stipendi in linea con quelli federali. Demiurgo dell’operazione Gigi Buffon, suo ex compagno di quell’Italia che rese azzurro il cielo di Berlino e che in Nazionale è tornato da capo delegazione con ampi poteri”.

Gli scozzesi lo chiamavano Raino, i salernitani pitbull, i giornalisti Braveheart, Carlo Ancelotti “un’impepata di cozze”. Ma il soprannome che meglio descrive il suo carattere è Ringhio.

Rifarei tutto quello che ho fatto a pensarci bene- racconta in una intervista esclusiva ad “As” a Valencia- Ho dormito da solo, da bambino non è facile prendere certe decisioni ma non penso mai cosa sarebbe successo senza il calcio. Mi sento fortunato, ma so di aver dato tutto quel che ho sempre avuto e se dovessi rifarlo, ripeterei tutto. Quando ho iniziato ad allenare ho chiamato subito Ancelotti e gli ho domandato come si fa…Per me è difficile, incomincio alle 8,30 del mattino e torno a casa alle sette di sera. Poi a casa vado in bagno e mi viene in mente qualcosa, così lo scrivo su un pezzo di carta. Io vivo il mio lavoro così. Dovrei cambiare, perché non puoi passare 18 o 19 ore a pensare al calcio, ma questo è il mio stile. Lavorare, lavorare, a ancora lavorare. Penso al calcio 24 ore al giorno, ma forse perchè ho dedicato tutta la mia vita al pallone. Quando io penso al calcio tu non hai più una vita…Devo davvero dire grazie a mia moglie Monica, non so davvero come faccia ad essere ancora con me”.

In uno dei suoi tre ultimi libri, scritti e firmati proprio da lui, il titolo è “Se uno nasce quadrato non muore tondo” (Rizzoli Editore), Gennaro Ivan Gattuso, questo è il suo nome completo, centrocampista campione del mondo, racconta come è diventato Ringhio, scalando tutte le tappe della gavetta, dagli esordi nel Perugia al successo nei Glasgow Rangers, al trionfo nella squadra del cuore, il Milan, fino ai magici giorni della vittoria della Nazionale a Berlino nell’estate del 2006.

Provateci voi a fare gol sulla spiaggia di Schiavonea, ad andare in giro per l’Umbria su una Vespa scassata, a vivere da terrone a Glasgow guardando tutte le notti solo Marzullo in tv, a sopportare gli scherzi idioti di Gascoigne, che vi fa la cacca dentro i calzettoni, e dopo gli allenamenti si lava i denti con il vostro spazzolino. Provateci voi a togliervi la cravatta senza mai sciogliere il nodo, perché non siete capaci di rifarlo, e non serve a niente chiamare il papà quando siete a tremila chilometri da casa perché non può sentirvi”.

Con la stessa grinta che mette in ogni partita, Rino ricorda tutti i momenti più importanti della sua vita di bambino, di calciatore, di uomo. Ma soprattutto ci consegna una sorta di vangelo del Gattuso-pensiero, sono quelle pillole di buon senso e un po’ di quelle trovate che gli hanno consentito di diventare anche un grande campione di saggezza contadina, in campo e fuori.

“Scoprirete così -scrive Rino nel suo libro autobiografico- che in Calabria quando un calciatore cade tutti urlano “Si scorciau” e se uno fa cilecca proprio davanti al portiere “Su mangiau un gol“, e guai se capita una “malaoccasione”, perché “nella vita nessuno ti regala nulla. Bisogna farsi un mazzo tanto“. E se si è nati quadrati, inutile sperare di diventare tondi”.

Credo davvero che non ci sia al mondo campione dello sport così tanto raccontato dagli altri come lo è nel suo caso.

Da giovanissimo pescatore mi avvicinavo ai signori che giocavano a carte o che chiacchieravano al bar e proponevo la merce, ma alle mie condizioni: se a loro stavano bene i miei prezzi si concludeva l’affare, altrimenti nulla, mi riportavo il pesce a casa. A volte tra gli acquirenti c’era pure mio nonno. Lui era un osso duro perchè giocava sempre al ribasso e così spesso andava a finire che gli davo il pesce quasi gratis. Sono stato il primo a inventarmi un lavoro del genere, poi via via molti miei amici mi hanno copiato. Del resto rendeva: con un po’ di faccia tosta e un po’ di senso degli affari, si poteva tirare su anche ventimila lire al giorno, mica male per un ragazzino di dieci anni”.

È come se in realtà Ringhio non avesse mai avuto diritto ad una sua vita privata, perché in rete oggi si trovano persino i numeri civici delle sue tante abitazioni in giro per il mondo. Indimenticabili, epici, esaltanti sotto tutti i punti di vista gli anni in cui Rino Gattuso rimane al Milan. In rossonero Gattuso resta tredici stagioni diverse diventando un simbolo del centrocampo milanista, conquistando due Champions League, due Scudetti, una Coppa Italia, due Supercoppe europee e un Mondiale per club.

In Nazionale, invece, colleziona 74 presenze ed è parte integrante del gruppo che nel 2006 vince il Mondiale in Germania.

“Quell’anno – ricorda uno dei più grandi inviati della RAI sui campi di calcio di tutto il mondo, Tonino Raffa- io ero in Germania al seguito della Nazionale e ho toccato con mano quanto gli italiani residenti in Germania amassero Rino Gattuso e la sua forza in campo. Ma non dimenticherò mai cosa fecero per lui i circoli dei calabresi emigrati e residenti in Germania, letteralmente impazziti dalla sua presenza scenica in campo e dal fatto che uno di loro, emigrato insomma come loro, avesse raggiunto quei livelli agonistici così assoluti e che i tedeschi indicavano e additavano come il numero uno in senso assoluto. Ma ricordo anche che da giocatore, dopo il suo primo gol in nazionale, gli venne attribuito a Ricadi il premio sport Capo Vaticano. Presidente di giuria era Bruno Pizzul. Gattuso quella sera arrivò da Corigliano accompagnato dal padre. Era l’estate del 2000”.E anche in quell’occasione parla del suo mare.

“Spiavo il mare seminascosto nel buio, dalla riva o dalla finestra della mia stanza. Seguivo con occhi ipnotizzati le luci delle lampare che partivano al largo e poi sognavo reti piene di cozze e scampi, di gamberoni e tonni, e io che le tiravo su scambiando qualche scherzo coi miei amici pescatori”.

Gattuso“mon amour”,Gattuso “forever”.

“In un calcio moderno spesso dominato dai contratti faraonici- commentava qualche giorno fa il giornalista Davide Capano dalle pagine di “Milanistichannel.com”- Gattuso ha scelto più volte la passione invece del denaro. Lo ha fatto a Pisa, a Creta, al Milan, a Napoli durante il Covid. Ha detto sì dove altri avrebbero detto no. Perché lui allena se sente, non se conviene. Vive il calcio con lo stesso trasporto con cui un artigiano lavora il legno (Rino lo sa bene, dato il passato di papà Franco da falegname…): non per diventare ricco, ma per lasciare un’impronta”.

Alla Federazione Calcio, a Roma, la conferenza stampa della sua prima uscita pubblica come tecnico della Nazionale Italiana è in realtà un tripudio di ovazioni e di ammirazione, è come se il mondo del giornalismo non aspettasse altro che lui alla guida della nostra Nazionale, pur con tutti i se e i ma del caso, ma alla fine Ringhio, e questo suo sorriso così disarmante, vincono su tutto il resto.

“È un simbolo del calcio italiano, l’azzurro per lui è come una seconda pelle- sottolinea il presidente della Figc, Gabriele Gravina – Le sue motivazioni, la sua professionalità e la sua esperienza saranno fondamentali per affrontare al meglio i prossimi impegni della Nazionale. Consapevoli dell’importanza dell’obiettivo che vogliamo raggiungere, lo ringrazio per la disponibilità e la totale dedizione con cui ha accettato questa sfida, condividendo il progetto della FIGC di sviluppo complessivo del nostro calcio, nel quale la maglia azzurra riveste una centralità strategica”.

Tutto qui? Assolutamente no.

“Portare l’Italia al mondiale americano del prossimo anno: è questo il compito di Gattuso, una mission non impossibile ma certo non facile visti i risultati maturati finora dalla nazionale. Carriera memorabile da calciatore (bandiera del Milan), tecnica non sopraffina, ma tenacia, grinta e un animo combattente, al limite del fumantino, che lo ha reso sempre un punto di riferimento per i compagni, da allenatore ha raccolto meno di quanto si potesse sperare. Ma ora quel guerriero è pronto a rimettersi in gioco per una causa che sente sempre molto sua, riportare la nazionale di calcio nei posti che merita”.

Per Davide Capano “Rino Gattuso non è solo una scelta tecnica. È una scelta di pelle, di cuore, di radici. È la Calabria che sale in panchina: quella della terra dura e dei sentimenti teneri, dell’urlo che spiazza e dello sguardo che, quando si fa muto, dice tutto. Gattuso non parla per sembrare, ma per essere. Se grida, sta depistando. Se tace, sta colpendo nel segno. Un uomo che ha fatto della simpatetica gioviale aggressività il suo codice d’onore. Non a caso chi lo conosce lo definisce così: schietto come il pane di casa, passionale come quando ammiri un tramonto con la tua Lei o il tuo Lui sulla costa jonica. Magari a Schiavonea, frazione di Corigliano Rossano, un angolo di Paradiso scolpito dal Padre Eterno sulla Terra”.

Nel 2008 la Rizzoli pubblica “Il Codice Gattuso”, la vita e la storia di Ringhio sono ormai una leggenda di cui parla il mondo.

“La scarpa è una religione. Il pallone -aggiunge il grande campione di Schiavonea- un virus fatto per essere passato a qualcun altro. Il borsone si prepara da soli, se no la mamma chissà che ci mette dentro. E l’allenamento non si salta nemmeno se c’è il terremoto. Il calcio è una scuola di vita e le regole sono dure come la mia barba. Me la faccio ogni quindici giorni. Ma si sa: il calcio non è sport per poppanti, e se uno ha paura di buscarsi un malanno è meglio che vada a lezione di violino o a giocare a carte con la nonna”.

Nel giro di un mese il libro della Rizzoli diventa un best seller, ma il vero segreto del successo letterario del libro sta nella schiettezza e nella sincerità con cui Gattuso racconta sé stesso.

“La palla -dice Gattuso- è come una bella donna che tutti vogliono conquistare, e per farlo ognuno deve tirar fuori le sue qualità migliori”.

Alla fine le sue lezioni di calcio diventano ironiche lezioni di vita: il mondo del pallone è tutto un equilibrio sopra la follia, e Rino riesce sempre a contare fino a dieci prima di finire al manicomio: “perché la testa, ricordatelo, è più importante delle gambe. Perfino per un calciatore”.

pino nano

Gattuso in pillole

-Gattuso segue le orme del papà Franco che aveva giocato in serie D. Scartato dal Bologna muove i primi passi con il Perugia. Nel 1997 sceglie la Scozia e i Rangers Glasgow.

-In un anno e mezzo lascia il segno e si fa notare per carattere e resistenza. Nell’ottobre del 1998 Gattuso torna in Italia, alla Salernitana, ma il grande salto arriva nel 1999 approda al Milan.

-In rossonero Gattuso resta tredici stagioni diventando un simbolo del centrocampo milanista conquistando due Champions League, due Scudetti, una Coppa Italia, due Supercoppe europee e un Mondiale per club. In Nazionale, Gennaro Gattuso colleziona 74 presenze ed è parte integrante del gruppo che nel 2006 vince il Mondiale in Germania.

Appende gli scarpini al chiodo nel 2013 e comincia la carriera di allenatore che non è brillante come quella da calciatore.

Comincia con umiltà, nei campi difficili di Pisa e nelle incertezze di Palermo.

-Passa anche dalla Svizzera (Sion), dall’OFI Creta e, infine, al Milan.

-Da tecnico rossonero porta ordine e grinta, sfiorando la Champions ma lasciando con dignità.

-Il vero trofeo da allenatore lo conquista con il Napoli: nel 2020 batte la Juventus e alza la Coppa Italia.

-Seguono esperienze meno fortunate: l’avventura sfumata con la Fiorentina ancor prima di iniziare, e la parentesi al Valencia, interrotta dopo pochi mesi.

Nell’ultima stagione ha allenato l’Hajduk Spalato, arrivando terzo nel campionato croato con soli due punti di svantaggio dalla prima in classifica.

-Molto spesso si è trovato ad affrontare situazioni complicate anche fuori dal campo, allenando club finanziariamente mal messi e con dirigenze poco presenti.

-Il modo totalizzante e generoso con cui le ha vissute, a volte pagando lui stesso gli stipendi a calciatori e dipendenti del club, lo ha fatto apprezzare dai suoi calciatori e molte volte anche dai tifosi, anche se i risultati non sono stati convincenti.

Il calcio ma non solo. La famiglia in primis, la moglie Monica, conosciuta a Glasgow, i due figli, Gabriela e Francesco. E la Calabria.

Ora la sfida da commissario tecnico per risollevare le sorti dell’azzurro. Di sicuro la sua grinta e la sua determinazione serviranno a ridare nerbo all’azzurro che oggi appare un po’ sbiadito.

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