Mona Abuara & Mahmoud Darwisch

Grandi poeti, la bellezza di Mahmoud Darwish.

Il poeta palestinese Mahmoud Darwish in una foto prima di morire

di Pino Nano

Mahmoud Darwish (1941-2008) non è stato solo un poeta, ma la voce letteraria e morale del popolo palestinese. La sua opera è un inno potente alla memoria, alla resistenza e alla nostalgia per una terra perduta, e alla ricerca di una identità finalmente propria.

L’Ambasciatrice di Palestina a Roma Mona Abuara alla manifestazone in Campidoglio accanto a Hatem Abed-Sabra, Interprete della Comunità Palestinese in Italia.

Venerdì sera in Campidoglio a Roma l’Associazione dei Calabresi Capitolini guidata dall’avvocato Luigi Salvati e dal critico d’arte Rosario Sprovieri ha ospitato insieme a “Inchiostro, Comitato Nazionale per la buona lettura” una manifestazione sulla pace dedicata ad uno dei più famosi poeti di lingua araba della storia moderna, lo scrittore e giornalista palestinese Mahmoud Darwisch, scrittore palestinese che ha raccontato l’orrore della guerra, dell’oppressione, e poi dell’esilio.

L’Ambasciatrice Mona Abuara con il direttivo dell’Associazione Calabresi Capitolini, alla sua destra il giornalista e critica d’arte Rosario Sprovieri e alla sua sinistra l’avvocato Luigi Salvati.

Al-Birwa, il suo villaggio natale, è stato distrutto dalle truppe israeliane durante la Nakba e ora non esiste più, né fisicamente né sulle cartine geografiche. Mahmoud Darwish, è dunque la Poesia della Resistenza. Fin dalle sue prime raccolte, come Foglie di ulivo (1964) e Un innamorato dalla Palestina (1966), la sua poesia si fa manifesto politico e atto di lotta. Per tutta la sua vita si dedicherà alla poesia, trasformandola in una “patria” per il popolo palestinese apolide. Le sue poesie, tradotte oggi in molte lingue, sono diventate simbolo della speranza del popolo palestinese. Tutta la sua vita fu segnata da arresti e divieti. Questo si riflette nei versi che trasformano la prigione e il confino in luoghi di resistenza interiore e di creazione, come in “La mia amata si desta dal sonno”.

Nel corso della serata, davvero bellissima, sono state riproposte e lette alcune delle sue poesie più famose dedicate alla libertà del popolo palestinese e di denuncia aperta contro ogni forma di violenza e di oppressione.

L’Ambasciatrice di Palestina a Roma, S.E.Mona Abuara nel corso del suo intervento ufficiale che alla fine le è valsa una standing ovation

Il momento clou della cerimonia è stato l’intervento ufficiale dell’Ambasciatrice della Palestina a Roma, Sua Eccellenza Mona Abuara, che ha aperto il suo saluto con un grazie per niente formale agli amici calabresi e romani che l’anno invitata, accomunando la solitudine dei Sud del mondo, e quindi anche della Calabria, alla solitudine del suo popolo.

L’Ambasciatrice di Palestina Mona Abuara con Dario Nanni Deegato per il Giubileo di Roma Capitale e il giornalista Pino Nano

“Non potevate scegliere tema più bello di questo- ha detto più volte l’ambasciatrice Abuara– perché la storia di Mahmoud Darwisch è la storia di tutti noi che siamo nati in Palestina e che per tutta la vita abbiamo sognato di poter avere una terra tutta nostra dove vivere e dove crescere in pace i nostri figli, è la coscienza della Palestina, il narratore delle sue ferite, dei suoi sogni e della sua volontà indomabile”.

Chi si aspettava dalla diplomatica palestinese un discorso di attacco, o peggio ancora un discorso politico, sarà anche rimasto profondamente deluso, tanta dolcezza c’era nei ricordi della sua infanzia in Palestina, e tanta malinconia per le atrocità di una guerra senza fine, e che comunque questa giovane e brillante diplomatica di professione ha raccontato con un garbo istituzionale fuori dal comune e con un rispetto verso se stessa e la sua storia personale che fanno di lei oggi una delle osservatrici palestinesi più attente e più seguite dell’area europea. Una donna raffinatissima, poliglotta, assolutamente affascinante, e soprattutto profondamente innamorata della sua terra “che il poeta Mahmoud Darwisch – ricorda a tutti noi Moma Abuara– paragonava alla sua donna amata, tanto grande era il suo amore per la patria”.

L’Ambasciatrice palestinese Mona Abuara tiene il suo discorso ufficiale

“Nelle sue poesie Darwisch ricostruì al-Birwa, il suo paese natale pietra dopo pietra, ulivo dopo ulivo. Ridiede vita a un villaggio che il mondo voleva dimenticare. Trasformò il silenzio imposto ai palestinesi in una tempesta poetica impossibile da ignorare”.

Forte e determinato l’appello finale dell’ambasciatrice agli amici calabresi presenti in sala, tanti, e agli ospiti di Roma Capitale, che è “un appello alla pace reale, e alla costruzione di confini entro i quali si possa finalmente costruire il futuro di un popolo che da 70 anni è alla ricerca di sè stesso”. E’ stato poi il giornalista Rosario Sprovieri a consegnarle a nome dei Calabresi di Roma un mazzo di fiori e un biglietto con su scritto “Ora l’aspettiamo in Calabria per farle vedere quanto è bella e suggestiva anche la nostra terra del cuore” e chiedendo ufficialmente ad Hatem Abed-Sabra, Interprete della Comunità Palestinese in Italia, di recitare in onore della terra di Palestina una delle poesie più significative di Mahmoud Darwisch, “ma questa volta in lingua araba in onore della terra di Palestina”. Così è andata.

Oltre l’ultimo cielo-Omaggio e controcanto a Mahmoud Darwish”, questo il tema centrale della serata in Campidoglio, ha visto poi gli interventi di vari protagonisti della vita culturale romana e italiana: Dario Nanni, Presidente della Commissione Giubileo di Roma Capitale; Elisa Zumpano, del Direttivo Inchiostro; Rosario Sprovieri, storico direttore del Teatro dei Dioscuri al Quirinale; Paolo Canettieri, professore universitario e famoso Filologo alla Sapienza di Roma; lo scrittore Pier Paolo Di Mino, il poeta Marco Giovenale, e il giornalista Filippo Golia, testimone diretto e oculare di una delle stagioni forse più cruente della vita palestinese. Una serata intensa come poche altre- ripete Dario Nanni che è nei fatti il padrone di casa in Campidoglio “e che spero possa ripetersi in altre forme e in altre occasioni”. Insomma, Calabria forever.

In primo piano il prof. Paolo Canettieri, professore universitario e famoso Filologo alla Sapienza di Roma e il poeta Marco Giovenale

Pensa agli altri

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

di Mahmoud Darwisch

La locandina ufficiale della manifestazione fortemente voluta da “Inchiostro” e dai “Calabresi Capitolini di Roma

Il Discorso ufficiale di Sua Eccellenza l’Ambasciatrice Mona Abu Amara

Ci riuniamo oggi non per parlare soltanto di un poeta, perché Mahmoud Darwish non è mai stato una semplice figura letteraria; è la coscienza della Palestina, il narratore delle sue ferite, dei suoi sogni e della sua volontà indomabile.

Le poesie di Darwish possono sembrare universali nella loro portata, ma le loro radici affondano sempre in un dolore profondamente personale. Darwish era un bambino della Nakba: fu cacciato insieme alla sua famiglia, all’età di sei anni, dal loro villaggio di al-Birwa sotto i bombardamenti. E come centinaia di migliaia di palestinesi, credevano che sarebbero tornati dopo pochi giorni.

Ma la storia prese un’altra direzione.

Quando la sua famiglia tentò di rientrare, non fu attraverso porte aperte né grazie al riconoscimento dei loro diritti, né tantomeno con un atto di giustizia che glielo permettesse. Tornarono di nascosto, sotto la copertura della notte, attraversando i confini verso la loro terra, solo per scoprire che al-Birwa era stata cancellata, le case demolite, le famiglie disperse. Ritornarono diventando “presenti assenti”, rifugiati che vivevano sulle rovine del proprio passato.

Questa ferita, questa frattura profonda mai rimarginata, costituì il nucleo di tutto ciò che Mahmoud Darwish scrisse.
“Non è la terra a essere ferita… la ferita è nella storia.”

Per lui, la Nakba non era una condizione politica astratta; era lo shock di un bambino che comprese che una casa può essere rubata, un’identità criminalizzata e che la memoria è l’ultimo rifugio.

Nelle sue poesie ricostruì al-Birwa pietra dopo pietra, ulivo dopo ulivo. Ridiede vita a un villaggio che il mondo voleva dimenticare. Trasformò il silenzio imposto ai palestinesi in una tempesta poetica impossibile da ignorare.

Darwish comprese che la battaglia della Palestina è prima di tutto una battaglia contro la cancellazione. L’occupazione non si accontenta di controllare la terra; mira a controllare la memoria, la narrazione e l’appartenenza. Così resistette nell’unico modo che nessuno poteva confiscargli: la parola.

Con quella parola, preservò la nostra memoria dal furto; con la sua voce sfidò un mondo abituato alla nostra sofferenza; con la sua poesia trasformò le nostre ferite in un linguaggio di dignità.

Darwish ci insegnò che la lotta per la libertà non è solo politica; è esistenziale. Riguarda il diritto di un popolo a vivere, a sognare, a scrivere la propria storia con il proprio inchiostro. E nei momenti di disperazione, ci ricordò che l’identità non ci viene concessa dagli altri: la costruiamo noi attraverso la tradizione, la cultura e la resilienza.

Molti italiani hanno conosciuto la Palestina attraverso le parole di Darwish prima ancora che attraverso i reportage politici.
La sua poesia ha costruito ponti là dove la politica ha innalzato muri.

E l’Italia ha dimostrato che Darwish non appartiene solo alla Palestina, ma al mondo: i poeti italiani lo hanno riconosciuto come compagno nel cammino di difesa della dignità umana, e i suoi versi hanno risuonato nelle piazze e nelle strade in solidarietà con la Palestina.

In Italia, la sua poesia non è stata accolta solo come letteratura, ma come uno specchio della nostalgia universale dell’umanità per la libertà.

Da al-Birwa a Gaza, il quadro sembra lo stesso, sebbene cambino le date. Ciò che Darwish visse da bambino — la pulizia etnica, la demolizione, lo sfollamento forzato, il dolore dell’oppressione e dell’esilio — è lo stesso che si ripete oggi su scala più vasta e con una brutalità senza precedenti contro due milioni di persone a Gaza. Ad al-Birwa un villaggio fu cancellato; a Gaza si cancella un intero popolo davanti al mondo. Ad al-Birwa le case furono distrutte; a Gaza interi quartieri vengono rasi al suolo. Ad al-Birwa la gente tornò furtivamente in una patria senza casa; a Gaza viene deportata con la forza dalla casa e dalla patria.

Ciò che accadde nel 1948 e prima del 1948 era l’inizio di un progetto; ciò che accade oggi a Gaza ne è il compimento. E tra queste due ferite c’è una sola ferita mai rimarginata, un solo messaggio: la Nakba non è stato un evento storico, ma una politica continua, una politica che mira a cancellare il palestinese ovunque si trovi — da un piccolo villaggio della Galilea a una città assediata sulle rive del Mediterraneo.

E resta la domanda di Mahmoud Darwish, che è anche la nostra:

«Dove andiamo dopo l’ultimo limite dei confini? Come viviamo dopo l’ultima nuvola?»

Queste parole non erano una metafora; erano la testimonianza di un popolo spinto ai margini dell’esistenza — e che nonostante tutto ha rifiutato di scomparire.

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