
“Le mie prime parole Arbëreshe”.
Un libro per ragazzi, scritto da due mamme, ci insegna i segreti della lingua di Scanderbeg
di Pino Nano
“Gli arbereshe sono come un vulcano addormentato, silenzioso ma sempre vivo, che custodisce l’anima dell’Albania e la fonde con quella dell’Italia. Sono una comunità fiera e resiliente, discendente dagli albanesi che, tra il XV e il XVIII secolo, lasciarono la loro terra per sfuggire all’avanzata dell’Impero Ottomano. Non partirono per scelta, ma per necessità, portando con sé la loro lingua, le loro tradizioni e un’identità che, nonostante tutto, a rimasta viva fino a oggi”.
Eccola la “magia della parola” di cui mi ha appena parlato il vecchio Antonio Minasi, che degli arbereshe negli anni in cui lui è stato il Capo dei Programmi RAI in Calabria ha prodotto il meglio possibile. La magia della parola, che sta per magia dei sentimenti, magia del cuore, magia della tradizione, magia del ricordo, magia dell’appartenenza.
C’è un libro per bambini, appena fresco di stampa, “Le mie prime parole arberesche”, firmato a quattro mani da Eliana Godino e Sara Baffa, e in cui in queste ore ho ritrovato per intero la magia dell’identità del popolo d’Arberia.
“C’è una lingua che mi danza intorno da sempre- scrive nella sua prefazione Eliana Godino- La sento nei saluti delle signore che si recano in chiesa, nei racconti degli anziani seduti al fresco, nelle risate dei bambini che giocano per strada. È l’arbëreshë, la lingua antica e preziosa della mia gente. Eppure, io non la parlo bene. Non per scelta, non per pigrizia, ma per un curioso gioco del destino: mia madre, cresciuta nella prima parte della sua vita a Roma, con me ha sempre parlato solo in italiano. Mio padre, che invece l’arbëresh lo padroneggia molto bene, era spesso fuori per lavoro, soprattutto quando ero piccola, momento in cui avrei potuto impararlo. Così, sono cresciuta ascoltandolo, capendolo, ma senza farlo mio del tutto”.
Questo libro, non so se posso dirlo, ma è un piccolo grande miracolo della letteratura contemporanea. Supera ogni immaginazione, ogni schema possibile, ogni previsione. È un progetto-pilota destinato a lasciare un segno rilevantissimo nella storia del linguaggio moderno, scritto a quattro mani da due donne che oggi lasciano ai bimbi (ma non solo a loro) una bellissima lettera d’amore dedicata alla propria terra.
“Gli arbereshe –scrive Eliana Godino– hanno una cultura ricca e affascinante, fatta di abiti tradizionali dai colon sgargianti, di canti polifonici che scaldano [‘anima e di una fede che segue il rito bizantino, con messe solenni e icone dorate che sembrano raccontare stone. Sono genie di cuore, di ospitalità e di memoria lunga. Ma non è solo la lingua a renderli speciali. Gli arbereshe hanno una cultura ricca e affascinante, fatta di abiti tradizionali dai colori sgargianti, di canti polifonici che scaldano l’anima e di una fede che segue il rito bizantino, con messe solenni e icone dorate che sembrano raccontare storie.

La magia di un incontro.
Una lettera d’amore struggente e romantica insieme, ma soprattutto anche una inedita testimonianza di fede nella grande ricchezza culturale del popolo arbëresh.
Forse ancora di più: una zattera multicolore e variopinta, da riempire e colorare, su cui Eliana Godino e Sara Baffa hanno fatto salire i loro amici più cari, le loro nenie più dolci, i loro ricordi più preziosi, le loro tradizioni e le mille storie d’amore di questa loro terra incantata.
“Oggi, vivo ancora qui, nel mio piccolo borgo italo-albanese, Santa Sofia d’Epiro, alle porte di Cosenza, con la mia famiglia. E come tutte le mamme che guardano il proprio bambino crescere, mi sono chiesta: cosa posso fare per lasciargli un pezzetto di questa cultura? Come posso aiutarlo a familiarizzare con questa lingua musicale e antica, senza rendere questo processo troppo complicato? La risposta è arrivata con i colori. Perché disegnare, colorare, giocare con le lettere e le immagini è il modo più bello di imparare senza neanche accorgersene. Così, con l’aiuto della mia amica Sara Baffa, che mi ha fornito parole adatte all’alfabeto e molti aneddoti curiosi, ho creato questo libro per bambini. Un piccolo sentiero di carta e matite tra passato e futuro, tra memoria e gioco”.
“C’è una lingua che mi danza intorno da sempre”.
E’ quanto di più coinvolgente ci si possa aspettare da una donna così moderna come lei, che ha fatto della fotografia e della grafica la passione della sua vita e che, per mestiere, da sempre rincorre e insegue il futuro e il presente, l’irraggiungibile e l’impossibile.
Eppure, in queste pagine, lei e Sara Baffa riscoprono il passato, che è il passato dei loro nonni, dei nonni dei loro nonni, di chi – insomma – cinquecento anni fa arrivò nella parte alta della Calabria, ai piedi del Pollino, per ricominciare a vivere una propria esistenza, lontana dalle violenze di un popolo eternamente in fuga.

“Gli arbereshe -precisa Eliana- hanno una cultura ricca e affascinante, fatta di abiti tradizionali dai colon sgargianti, di canti polifonici che scaldano [‘anima e di una fede che segue il rito bizantino, con messe solenni e icone dorate che sembrano raccontare stone. Sono gente di cuore, di ospitalità e di memoria lunga. Ma non è solo la lingua a renderli speciali. Gli arbereshe hanno una cultura ricca e affascinante, fatta di abiti tradizionali dai colori sgargianti, di canti polifonici che scaldano l’anima e di una fede che segue il rito bizantino, con messe solenni e icone dorate che sembrano raccontare stone”.
Una magia, questo libro.
Della copertina ne farei un manifesto della nuova Arberia, da mandare in giro per il mondo.
Un puzzle di colori e di aneddoti, di racconti e di immagini, di disegni da riempire e da colorare, scritto non solo per i bambini – non fidatevi di quello che le due autrici scrivono nelle pagine che seguono – perché questo è un libro per tutti, grandi e piccini. E non si poteva trovare strumento pedagogico migliore e più efficace di questo per esaltare la solennità della lingua arbëreshë e del suo popolo.
“C’è una lingua che mi danza intorno da sempre”. Bellissimo è dire poco.
“Oggi gli arbereshe -racconta Eliana- continuano a esistere, tra chi è rimasto nei paesi d’origine e chi porta questa identità nel mondo. Non sono solo un pezzo di storia, ma un ponte tra passato e futuro, un piccolo miracolo di resistenza culturale. E finché ci saranno voci che parleranno, canteranno e racconteranno in arbereshe, questo popolo continuerà a esistere, sfidando il tempo con la forza delle proprie radici”.
Lo confesso, da questo libro ho imparato degli arbëreshë più di quanto non sia riuscito a fare in tantissimi anni di lavoro e di ricerca sul campo, da quelle parti. Una per tutte: “Il Venerdì Santo ogni lavoro si sospende; persino spolverare è proibito, perché si crede che la polvere sollevata possa posarsi sul volto del Signore giacente nel sepolcro”.
Se avrete modo di averlo tra le mani, vedrete, è una piccola-grande enciclopedia del sapere di una terra e di un popolo, l’antica Arberia di Calabria, un “vulcano addormentato”, che – nonostante le torture vissute e le peripezie subite nei secoli – ha mantenuto sempre fede alla propria identità culturale e alla propria speranza.
“Un vulcano addormentato”, che in queste pagine rinasce e rivive in maniera possente, e che due giovani donne calabresi hanno deciso oggi di raccontare nella maniera più semplice e più spontanea possibile ai propri bambini.
Un’operazione felice. Assolutamente felice, credetemi.

*Eliana Godino è nata a Cosenza nel 1990. Dopo aver frequentato il liceo Classico, decide di iscriversi all’Accademia di Belle Arti di Roma, concludendo il suo percorso con il massimo dei voti. Comincia a lavorare nel campo della grafica pubblicitaria e dell’illustrazione e a viaggiare molto per l’Europa, l’America e l’Asia, appassionandosi sempre di più alla fotografia. Nonostante le esperienze e le bellezze che ogni luogo le donava, ha sempre sentito una forza invisibile ma fortissima che la richiamava in Calabria. Molti l’avrebbero interpretato come una spinta negativa, ma lei lo ha avvertito come una guida verso la sua vera destinazione. Così, tornata nella sua terra natia, decide di aprire il suo studio e chiamarlo “Free Idea”. Entra a far parte del team “Corigliano Calabro per la fotografia”, associazione organizzatrice dello storico Festival Corigliano Calabro Fotografia, e grazie al gruppo che gravita attorno alla manifestazione, ha l’opportunità̀ di seguire diversi workshop con grandi fotografi contemporanei. Costantemente alla ricerca di nuovi stimoli, ha deciso di dedicare il suo primo progetto proprio alla Calabria, con l’obiettivo di far conoscere la bellezza e le eccellenze della sua regione a livello nazionale ed internazionale.